Il presidente dello United Auto Workers, Shawn Fain, ha recentemente espresso una prospettiva inaspettata su un argomento dibattuto negli Stati Uniti: l'uso dei dazi per proteggere i posti di lavoro nazionali. In un'intervista pubblicata su Jacobin, Fain ha sottolineato come accordi commerciali come il Nafta abbiano avuto effetti devastanti sulle comunità industriali statunitensi. Secondo lui, le politiche commerciali degli ultimi decenni hanno favorito le grandi aziende a spese dei lavoratori locali. Anche se non necessariamente d'accordo con Trump, Fain riconosce che l'imposizione di dazi potrebbe rappresentare una soluzione valida per incentivare la produzione interna, a patto che i nuovi impieghi offrano salari adeguati e benefici sociali.
Per capire meglio questa posizione, è necessario analizzare il contesto storico e sociale. Nel 1994, l'entrata in vigore del Nafta ha segnato un cambiamento epocale nel commercio tra Stati Uniti, Canada e Messico. L'accordo, concepito per stimolare lo scambio di beni e servizi, ha invece portato alla chiusura di oltre 90mila impianti industriali negli Stati Uniti. Kokomo, una piccola città dell'Indiana, ne è un esempio emblematico. Qui, la General Motors era stata uno dei principali datori di lavoro fino a quando la globalizzazione ha reso più conveniente trasferire la produzione in paesi con costi salariali inferiori.
I risultati sono stati drammatici. Miliardi di dollari di profitti sono finiti nelle casse delle multinazionali, mentre milioni di lavoratori statunitensi si sono ritrovati senza occupazione. Le promesse di crescita economica e miglioramento delle condizioni di vita per tutti non si sono realizzate, lasciando molte comunità in crisi. Questo scenario ha alimentato il sostegno popolare verso politiche protezioniste, anche se queste ultime vengono spesso criticate dagli economisti tradizionali.
Fain propone un approccio equilibrato: accetta l'idea dei dazi come strumento temporaneo, ma solo se accompagnato da garanzie per i lavoratori. Ciò significa creare opportunità di impiego che offrano salari competitivi, copertura sanitaria completa e piani pensionistici solidi. La sua visione va oltre i confini nazionali, suggerendo che la globalizzazione può essere positiva solo se include la tutela dei diritti umani e sociali in tutto il mondo.
Questo discorso apre nuove riflessioni sul futuro del lavoro globale. Sebbene le politiche protezioniste possano sembrare contraddittorie rispetto ai principi della libera concorrenza, possono rappresentare un passo importante verso una maggiore giustizia sociale. Sotto questa prospettiva, il dibattito sui dazi non è solo economico, ma anche etico, richiedendo una ridefinizione delle priorità nei processi decisionali aziendali e governativi.