Nel mese di febbraio, le autorità tailandesi hanno confermato l'estradizione di un gruppo significativo di individui appartenenti alla minoranza etnica uiguira verso la Repubblica Popolare Cinese. Questa decisione ha sollevato preoccupazioni internazionali riguardo al rispetto dei diritti umani e alle possibili conseguenze che queste persone potrebbero affrontare nel paese d'origine. Le organizzazioni per i diritti umani e le Nazioni Unite hanno espresso forti riserve sull'esito di tale azione, evidenziando come ciò possa rappresentare una violazione del diritto internazionale.
L'operazione di espulsione coinvolge circa quaranta individui, membri della comunità uiguira, un gruppo etnico musulmano residente principalmente nella regione dello Xinjiang in Cina. Secondo le dichiarazioni delle autorità tailandesi, il governo cinese avrebbe richiesto formalmente il rimpatrio di questi migranti, garantendo loro trattamento adeguato e sicurezza. Tuttavia, tali assicurazioni non sono state sufficienti a placare le preoccupazioni della comunità internazionale, che teme possibili persecuzioni o abusi nei confronti degli uiguri.
Il trasferimento è stato criticato da diverse istituzioni internazionali, tra cui l'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani e quello per i Rifugiati. Entrambi hanno denunciato la mancata osservanza del principio di non-respingimento, fondamentale nel diritto internazionale relativo ai rifugiati. Volker Türk, alto commissario per i diritti umani, ha definito l'espulsione una "chiara violazione" delle norme vigenti. Anche Human Rights Watch ha espresso gravi timori riguardo al destino degli uiguri, mettendo in guardia contro il rischio di torture e detenzioni prolungate in Cina.
In precedenza, nel 2015, la Thailandia aveva già suscitato controversie simili con un'operazione di estradizione di centinaia di uiguri, provocando reazioni negative dalla comunità internazionale. Negli ultimi anni, la situazione degli uiguri in Cina è stata oggetto di crescente attenzione, con accuse di detenzioni arbitrarie e condizioni di vita precarie nelle cosiddette "zone di formazione professionale". Il governo cinese continua a negare tali affermazioni, sostenendo che gli obiettivi di tali programmi siano finalizzati alla lotta contro la radicalizzazione islamica.
La decisione thailandese ha riaperto un dibattito sulle responsabilità globali verso i rifugiati e le minoranze etniche, evidenziando come la gestione di queste questioni rimanga complessa e delicata. Le implicazioni di questo trasferimento suggeriscono la necessità di un dialogo internazionale più profondo per garantire il rispetto dei diritti fondamentali e la protezione delle persone vulnerabili.